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Tributo a Jackson Pollock (Sergio Davanzo)

Tributo a Jackson Pollock

  • Titolo: Tributo a Jackson Pollock
  • Genere: esibizione
  • Tecnica: acrilici e sintetici su tela
  • Misure: varie
  • Descrizione: Dall’Assoluto pensabile della razionalità occidentale, all’Assoluto autodistruttivo del Neoromanticismo. Dalla prima Relatività di Einstein, alla teorica del Big Bang. Antinomie e continuità.
  • Tags: Monfalcone, Panzano, Conestabo, Klun, Favretto, Politti
  • Voti: 75 Chi ha votato?

Commenti sull'opera Tributo a Jackson Pollock:

Dall’Assoluto pensabile della razionalità occidentale, all’Assoluto autodistruttivo del Neoromanticismo. Dalla prima Relatività di Einstein, alla teorica del Big Bang. Antinomie e continuità. Questo è Pollock e come diceva Paul Klee “a tentare l’impresa di rendere visibile ciò che non lo è”.
La mente più grande e disperata della pittura contemporanea ha sciolto i contatti con il mondo, con le sue regole ottiche e con la sua cultura.
Il confine oltre il quale si apre la libertà, non è più attraversabile con gli strumenti dell’arte.
(Fabio Caroli)
La mia pittura parte dalla lezione di J. Pollock. Tributare una mostra a lui in un bar galleria “Universo” a Panzano, quartiere cantieristico di Monfalcone, non è una provocazione come potrebbe sembrare, ma un luogo ideale tra centinaia di operai extracomunitari e non, depositari di una cultura mai ufficialmente riconosciuta quale risulta essere quella della fatica dell’apprendimento dei mestieri e più in generale del lavoro stesso.
In un luogo come questo il messaggio pittorico “passa” anche in assenza di capacità culturali idonee alla decodificazione del segno, dell’utilizzo della materia adoperata, della tecnica adottata e di tutti quegli elementi cari agli affabulatori che ti illustrano la tua arte senza fartela capire.

Sergio Davanzo
 


postato da Sergio Davanzo - martedì 22 giugno 2010 alle ore 12:51

SEMPRE GRANDE !

Mandi


postato da Diego Totis - domenica 27 giugno 2010 alle ore 20:49

L’inumana sensazione.
Su Jackson Pollock
di Tommaso Ariemma

 

 

L’inumano nell’umano
L’inumano è ciò che accade all’uomo, ciò che gli succede. Al di là di ogni immagine negativa dell’inumanità, essa è ciò che inevitabilmente portiamo con noi, ciò che ogni volta ci attende e ci spetta. L’uomo abita l’estremo, ovvero l’esperienza in tutta la sua potenza, che lo contamina fino a rovesciarlo del tutto, fino a farlo diventare altra cosa, cosa morta.

La tradizione occidentale ha spesso preposto all’emozione e alla passione l’imperturbabilità e la forma. Una tale disposizione appare come una giustapposizione alla natura informale dell’umano. Per natura informale intendiamo la capacità di fare esperienza del disfacimento della forma, la possibilità che una data cosa possa presentarsi sfigurata.

Informale è anche e soprattutto quel procedimento artistico in cui l’uomo scompare come forma e come creatore di forme e si confonde con il gesto stesso della creazione. Il pittore americano Jackson Pollock è uno dei maggiori esponenti di tale procedimento. Dipinge forze, tratti intensivi, non più identità. La pittura di Pollock rinuncia al compito classico di dipingere dei soggetti e tenta invece di esprimere movimenti, energie, ovvero ciò che afferra l’umano e lo possiede. L’inumano che Pollock esprime è l’intrusione permanente a cui l’uomo è soggetto, la sensazione prima della percezione. Il non-umano che assilla l’umano, in un intreccio che l’opera di Pollock restituisce attraverso la più imponente scomparsa della figura e della rappresentazione. Fondamentale è la sua dichiarazione circa il suo diverso approccio alla tela: non più di fronte al pittore, come in un rapporto soggetto-oggetto. Così afferma:

La mia pittura non nasce sul cavalletto. Non tendo praticamente mai la tela prima di dipingerla. Preferisco fissarla non tesa al muro o per terra. Ho bisogno della resistenza di una superficie dura. Sul pavimento mi sento più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del quadro, perché, in questo modo, posso camminarci intorno, lavorare sui quattro lati, ed essere letteralmente nel quadro.1

L’artista si coglie nel quadro, come se si trattasse di una singolare ospitalità, e continua affermando: “Quando sono nel mio quadro, non sono cosciente di quello che faccio”. Pollock porta la logica della composizione alla sua radicalità: al contrario di Poe che calcolava la minima emozione, il più piccolo effetto, la composizione in Pollock è posizione di un cum, di “un dare e avere”, che si oppone tanto all’ispirazione romantica quanto al calcolo dell’autore moderno. Quando Pollock dice di essere nel quadro, non si sta riferendo a una possibile rappresentazione al suo interno, rappresentazione che da Velasquez in poi è diventata una vera e propria sfida pittorica. Si tratta di concepire “nel” secondo una logica della relazione al di là di ogni rappresentazione. Forse secondo una logica macchinica. Secondo Louis Marin, il tentativo di Pollock di sottrarre l’accidentale alla casualità lo spinge verso un singolare automatismo pittorico, dove il dripping, la sgocciolatura con il colore liquido, è deciso dall’opera nel suo stesso farsi:

Se si ha l’impressione che la colata tracci essa stessa il proprio disegno obbedendo a un certo disegno, ciò dipende molto semplicemnte dal fatto che esiste un “disegno” che determina le tracce e i reticoli. È sufficiente vedere a questo proposito il film su Pollock all’opera. Che la tecnica del dripping comporti in sé nella sua esecuzione un margine notevole di accidenti, gocce, schizzi, ma forse non così considerevole quanto si crede, è sicuro. […] L’accidente va qui pensato come la circostanza di un processo pittorico, un processo che non si realizza in verità se non tracciando e tessendo circostanze […] un processo pittorico che sarebbe l’accumulazione degli accidenti e delle sostanze che esso produce. […] Di qui la mia conclusione, che lo spazio Pollock nel/del quadro […] è, se vogliamo, un automaton, una macchina […] 2

A tal proposito, Robert Motherwell sottolinea la necessità creativa cui giungeva il pittore proprio attraverso il singolare procedimento di dipingere con la tela attaccata al suolo: “Lavorando a terra le sgocciolature non si spargevano, e poteva così dipingere in «contrappunto», cioè per strati successivi, raggiungendo una complessità fisica di cui i suoi colleghi erano incapaci. […] il lavoro a terra ha dato a Pollock la spontaneità estrema del disegno automatico, in uno spazio controllato ipso facto.”3

Il pittore si dissolve nel dipingere automatico, secondo una ragione interna all’opera, una ragione dell’evento. È quest’ultimo a disumanizzare, a disfare ogni volta le forme rendendole informali, ovvero contaminate dall’improbabile, e, per tale motivo, ogni volta irriconoscibili.

 

Caducità
Il rapporto con la tela non più frontale, ma dall’alto in basso secondo un fondamentale processo di caduta, sigilla l’inumanità espressa nell’opera di Pollock. Centrale non è più la visione capace di prevedere e di rimediare, ma l’irrimediabile sgocciolio, che simboleggia il nostro essere al mondo: soggetti a delle gravità non umane, a delle forze che ostacolerebbero la fondamentale ascesi dell’uomo. Non esiste immagine dell’uomo che non sia legata alla salvezza in un’ascensione, che non lo allontani dalla caduta. L’uomo è colui che deve evitare di cadere. La caduta è il male, capace di distruggere la nostra umanità.

Pollock non dipinge tanto delle linee, quanto piuttosto delle traiettorie, che per il pittore possiedono un’intrinseca necessità, un destino. Interrogandosi sull’aspetto non canonico della linea in Pollock Marin arriva a definirla traccia dell’evento.

Si può ancora chiamare linea? […] In Autumn Rhythm: n. 30 del 1950, la linea di Pollock è una traccia, cioè l’impronta lasciata da un passaggio sulla tela, impronta e sequenza di impronte, indicazione e serie di indici. Però un’impronta paradossale, poiché ciò che è accaduto e che ha lasciato la traccia del suo passaggio non ha mai toccato la tela, né direttamente né indirettamente per il tramite di uno strumento, pennellessa, pennello, spatola o coltello. Solo il liquido che cola, o cade goccia a goccia, tocca la tela; di fatto non la tocca, vi si espande e vi si deposita, come indice di ciò che è passato, di ciò che è accaduto. La linea di Pollock è la traccia di un evento.4

Sottolineando inoltre come tali tracce perdano il rapporto con il pennello, e dunque con la manipolazione dell’uomo, Marin ci avvicina al genius loci che l’opera di Pollock cerca di esprimere: l’intervento di forze impersonali, preindividuali e non umane nella composizione. Non l’angoscia, ma l’agonia primordiale che eccede i corpi, abitando piuttosto lo spazio interstiziale della sensazione, che, come ci ricordano Deleuze e Guattari, è “composto delle forze non-umane del cosmo, dei divenire non-umani dell’uomo e della casa ambigua che li scambia e li adatta, li fa turbinare come il vento.”5

Pollock riprende così il senso del pain proprio del painting: sulla tela appaiono le differenti e intensive forze in gioco, che assillano ogni individuo, una complicazione inestricabile. I titoli che Pollock dà alle sue opere, come Sea Change o Lavender Mist, non indirizzano verso una rappresentazione, bensì verso un’astrazione che proietta sulla tela le forze che possiedono la cosa. Le traiettorie sono caducità, accadimenti. Inevitabili cadute in cui l’umano ha poco peso, una leggerezza insostenibile, perché non oppone significativa resistenza a ciò che ci trascina verso la morte. L’Action Paintig di Pollock appare allora come una sorta di danza pittorica, di comprensione estetica delle forze. Come giustamente ha notato Deleuze:

Action Painting, “danza frenetica” del pittore intorno al quadro, o piuttosto nel quadro che non è montato, in tensione sul cavalletto, ma inchiodato, disteso al suolo.6

Il tentativo di assecondare le forze diviene un vero e proprio rito per raccogliere l’evento della loro complicazione. Come i danzatori della pioggia, Pollock sembra danzare intorno al quadro per trattenere le forze nella tela. Anche le misure del quadro, a volte enormi o semplicemente inusuali, sembrano essere stabilite dall’opera stessa. Non vi è pittura più evocativa di quella di Pollock. Un’evocazione dell’inumano.

 


 


postato da Sergio Davanzo - domenica 04 luglio 2010 alle ore 13:06

Grazie Sergio...sei GRANDE!!!


postato da Gigi - venerdì 09 luglio 2010 alle ore 13:14

La tua pittura in questa esibizione emerge con forza prorompente!


postato da Dok - domenica 11 luglio 2010 alle ore 12:31

Molto convincente. Mi è piaciuta molto l'ambientazione prescelta.


postato da Duchamp - domenica 11 luglio 2010 alle ore 13:06

Locandina molto eloquente!


postato da Arman - lunedì 12 luglio 2010 alle ore 01:25

Ti ringrazio per aver scelto la mia struttura per questa tua preziosa esibizione. Oltre che un piacere è per me un onore. Grazie Sergio.


postato da Universo - lunedì 12 luglio 2010 alle ore 14:13

Nel ringraziarvi tutti penso di farvi cosa gradita postando un commento di Fabio Favretto:

C’è una prometeica forza nelle opere di Sergio Davanzo che riconduce, con la certezza del segno e lo schiaffo del colore, ad un confronto con la realtà che non conosce compromessi o debolezze.
L’artista non abbassa lo sguardo e davanti all’esistenza egli si assume il diritto di dichiarare la verità. Lo fa attraverso un linguaggio visivo essenziale, sintetico, corrosivo, violento, titanico, provocatore. Usa la titolazione dei suoi quadri come dei tazebao: sono verdetti che illuminano, parole che possono essere incipit quanto sentenza lapidaria su un argomento che la tela sintetizza in linee di immediata intuizione, con un uso dirompente dell’elemento cromatico, con tinte che acquistano voce. Davanzo riesce a far riecheggiare nel movimento dei suoi quadri le vibranti intensità del paradosso creativo, in bilico tra ragione e gesto puro ed istintivo, folgorazioni che sono rivelazioni e universalità
 

Fabio Favretto

 


postato da Sergio Davanzo - lunedì 12 luglio 2010 alle ore 19:42

e uno di Lorella Klun:

Le tele di Davanzo vibrano, si impongono con lo stridore delle pennellate, con le barricate cromatiche da cui fuoriescono filamenti elettrici che guizzano e avvolgono, creando una fitta e mutevole rete di energia. Nelle sue opere istinto e ragione rinunciano all'eterna lotta, per dar vita ad un dialogo serrato: il colore si tende nella spontaneità del gesto, si difende entro grumi di materia, si assottiglia ed incede leggero frammentandosi secondo ritmi musicali. Viene impastoiato, fatto fluire e nuovamente convogliato, cristallizzato e gocciolato, alleggerito e spinto oltre i confini del supporto per cercare nuove espressioni comunicative."


postato da Sergio Davanzo - lunedì 12 luglio 2010 alle ore 19:51

e uno di Maria Sole Politti:

Sergio Davanzo. Esprime con forza i propri pensieri. Coccola con tenerezza i propri sogni. Ti mostra parti insospettate e inattese di sè, a volte svelandole per gradi, a volte ostentandole all’improvviso, provocando, beffardo. Davanzo dipinge. Una combinazione irrisolta di motivazioni lo spingono ogni volta. Per bisogno. Per voglia. Per gioco. Per dovere. Molti dei suoi quadri sono figli di una forte necessità comunicativa. La necessità di trascendere i limiti delle parole, delle dimensioni spazio-temporali, delle forme codificate, creandone di nuove, più belle, più intense, e dare così rinnovata voce a pensieri profondi, complessi. Ci sono poi i lavori che nascono dal semplice desiderio di lasciarsi andare alla più poetica evocazione di immagini e suggestioni viste e vissute. Essa sfocia poi nella compiaciuta ricerca di complicità di chi guarda e prova, e sente, e, sentendo, rivive. Il risultato è una sorprendente gamma di aperture e contaminazioni sinestetiche, cromatiche e materiche. Nel modus operandi di questo artista spesso un pensiero diventa tematica. Si espande. Definisce in maniera autonoma e prepotente i propri leit motive. Li varia, li allarga, li propone nelle più accattivanti sfumature, per poi gonfiarsi al massimo e, finalmente esplodere, esausto. Finito. Risolto. Perciò i quadri di Sergio sono per lo più contestualizzabili in gruppi. seguono cioè un filone comune fino a prosciugarlo. A volte però l’artista dalla conclusione di una linea ispirativa ne ha già tratte diverse altre. A volte lascia passare del tempo prima di permettere a nuovi tratti di catturare il suo istinto. E il suo pennello. Questo è Sergio Davanzo che dipinge. I suoi soggetti sono vari, disparati. Molto vuole raccontare. I volti, le voci del passato e del presente, i luoghi che lo hanno visto iniziare il suo percorso di uomo e di artista. Il cane. La famiglia. Coloro che se ne sono andati, coloro che verranno. Una ruga sulla fronte. Il sibilo di un tornio in officina. Un caleidoscopio minimalista di immagini, momenti epifanici, che sergio trasporta su tela. Che, se necessario, trasporta, come è solito dire “nello spazio”. E sicuramente i titoli creativi e fantasiosi che Sergio Davanzo affianca ai dipinti, fanno parte di questo modo semiserio di vivere e concepire le proprie necessità. Deliziosi, spesso fortemente ironici, stupiscono, per poi lasciarti addosso una scia di riflessione, che ti stuzzica come l’aroma del rum nel gusto di un dolce appena sfornato. Di cui Sergio, provetto “chef de rangue”, ha scritto e realizzato la ricetta apposta per te.


postato da Sergio Davanzo - lunedì 12 luglio 2010 alle ore 19:57

Complimenti per la tua intensa attività espositiva.


postato da Mino - martedì 13 luglio 2010 alle ore 17:44

"Davanzo riesce a far riecheggiare nel movimento dei suoi quadri le vibranti intensità del paradosso creativo, in bilico tra ragione e gesto puro ed istintivo..."

"Nelle sue opere istinto e ragione rinunciano all'eterna lotta, per dar vita ad un dialogo serrato: il colore si tende nella spontaneità del gesto, si difende entro grumi di materia, si assottiglia ed incede leggero frammentandosi secondo ritmi musicali."

 

Sono in sintonia quanto affermato sopra dai critici.

 


postato da 8 - martedì 13 luglio 2010 alle ore 18:00

Sei Unico!!!!


postato da Robi - mercoledì 14 luglio 2010 alle ore 20:53

"In un luogo come questo il messaggio pittorico “passa” anche in assenza di capacità culturali idonee alla decodificazione del segno, dell’utilizzo della materia adoperata, della tecnica adottata e di tutti quegli elementi cari agli affabulatori che ti illustrano la tua arte senza fartela capire."

 

Perfetto!!!!


postato da Rotcko - venerdì 16 luglio 2010 alle ore 12:31

Ho avuto occasione di vedere la mostra da Luca a Panzano. Molto bella. Vorrei ospitarla, se ti va bene, al Circolo in autunno. Fammi sapere, per favore, grazie.


postato da Neda - venerdì 16 luglio 2010 alle ore 13:01

ieri sera a rientro dalla giornata lavorativa mi sono fermato all'Universo. Hop visto i lavori in mostra. Molto belli, veramente.


postato da Vanna - sabato 17 luglio 2010 alle ore 12:06

Semplicemente perfetta in tutti i suoi aspetti!


postato da Vince - lunedì 19 luglio 2010 alle ore 12:34

Molto bella. La vedo ogni mattina con il caffè prima di entrare in fabbrica...mi aiuta!


postato da Ciro Bonito - mercoledì 21 luglio 2010 alle ore 12:00

Pur conoscendo il tuo pensiero mi sento di affermare che questa tua esibizione avrebbe bisogno di un palcoscenico più ampio e qualificato. Sono certo del tuo dissenso in proposito. So che sei più felice se a guardare la tua pittura ci sono persone semplici e lavoratori di fabbrica però.....questa che vedo... "merita" molto di più!


postato da Alex Lavaroni - mercoledì 21 luglio 2010 alle ore 16:03

Non dimenticarti mai delle persone che lavorano in fabbrica! io penso che molta parte della tua forza espressiva attinga alle tue passate esperienze in quei luoghi.


postato da Puster - domenica 25 luglio 2010 alle ore 11:55

www.facebook.com/pages/Sergio-Davanzo-pittore/116372505041501#!/album.php


postato da Sergio Davanzo - giovedì 29 luglio 2010 alle ore 14:44

Esibizione molto ben realizzata. Complimenti!


postato da Iguelito - venerdì 30 luglio 2010 alle ore 13:00

Come i danzatori della pioggia, Pollock sembra danzare intorno al quadro per trattenere le forze nella tela.

Io immagino che anche tu danzi attorno alle tue idee!


postato da Pina - sabato 07 agosto 2010 alle ore 18:56

Ottima esibizione!!!


postato da Rissa - domenica 08 agosto 2010 alle ore 12:44

Mi sarebbe piaciuto visitare questa mostra. Immagino veramente interessante il percorso da te operato per tributare Pollock


postato da Liza - venerdì 19 novembre 2010 alle ore 18:50

"Dall’Assoluto pensabile della razionalità occidentale, all’Assoluto autodistruttivo del Neoromanticismo. Dalla prima Relatività di Einstein, alla teorica del Big Bang. Antinomie e continuità. "

Molto bella questa presentazione, complimenti.


postato da Kube - mercoledì 01 dicembre 2010 alle ore 17:55

Bellissima mostra. Un percorso significativo con una rivisitazione originale.


postato da Judy - venerdì 03 dicembre 2010 alle ore 12:43

Un grande percorso degno della tua arte.


postato da Rossa - giovedì 09 dicembre 2010 alle ore 12:57

 grazie a tutti per i commenti!


postato da Sergio Davanzo - martedì 08 gennaio 2013 alle ore 12:26

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